9
Mag
2014
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Il miracolo delle Social Street

(Uscito su Ansa Magazine)

Giovanni aveva bisogno di un trapano. E’ arrivato Matteo che non solo gli ha prestato il trapano, ma lo ha anche aiutato a montare una mensola. A Britta serviva una brandina per ospitare i suoi genitori che la venivano a trovare dalla Germania. Elide e Fabienne gliel’hanno portata. Nina aveva un importantissimo colloquio di lavoro via Skype e mezz’ora prima del collegamento le è andato in palla il computer. Saverio le ha messo a disposizione una postazione nel suo ufficio permettendole di non mandare in fumo mesi di lavoro.
E pensare che nessuno di loro, pur abitando a pochi passi di distanza, si conosceva.
Sono le storie di non ordinaria normalità che avvengono ogni giorno in via Fondazza, a Bologna, la prima social street del mondo.
E’ la strada che sta insegnando una cosa semplice e dimenticata, soprattutto nelle grandi città: il vicino di casa non è qualcuno da temere o con cui litigare alle riunioni di condominio, ma una persona che, se può, ti aiuta.
Il fenomeno social street nasce in via Fondazza sette mesi fa. Federico Bastiani, toscano trapiantato a Bologna, si è stufato di non sapere niente delle persone che incontra tutti i giorni quando esce di casa. Stampa un paio di volantini e li distribuisce nei negozi della sua strada: “ho creato un gruppo su Facebook degli abitanti di via Fondazza, iscrivetevi”. Il successo è immediato e sorprendente. Centinaia di persone rispondono all’appello e fanno nascere la prima social street.
“Regole predefinite non ce ne sono – dice Federico – Facebook è solo un mezzo per far incontrare le persone”. E le persone che fino al giorno prima si erano ignorate – miracolo – cominciano ad incontrarsi. Sul web si parla dei problemi della strada, delle questioni da affrontare e da risolvere, ma partono anche un mucchio di idee: si organizza una festa di Natale, una mostra fotografica, si lancia un progetto per gestire un giardino comunale, sia abbellisce la strada con alcune fioriere fatte con materiali di recupero.
E poi, soprattutto, ci si incontra e, nei limiti del possibile, ci si aiuta. C’è chi vuol vendere un frigorifero, chi chiede informazioni sui medici della zona, chi si è appena trasferito e vuole conoscere qualcuno. Nessuno spende niente e nessuno ci guadagna niente.
Ma da allora in via Fondazza il clima è cambiato: sotto i portici della casa dove abitò e lavorò anche il pittore Giorgio Morandi quando la gente s’incontra non si guarda più con indispettita indifferenza, tutti si salutano, si sorridono, ognuno s’interessa della vita dell’altro.
Talmente semplice, da essere rivoluzionario.
Un modello da esportare
E così succede che Federico e i fondazziani decidono che il loro modello può essere esportato. Aprono un sito web (www.socialstreet.it) e raccontano, con la stessa semplicità, quello che hanno fatto. A pensarci bene ogni strada di ogni città può diventare via Fondazza. Basta che ci sia qualcuno che si prende la briga di aprire un gruppo su Facebook e di mettere un paio di volantini nei negozi e poi il gioco è fatto.
A Bologna ne nascono subito una decina, poi il fenomeno comincia ad allargarsi. Incontenibilmente. Tutti scrivono in via Fondazza per chiedere come si fa. La risposta è di una tale banalità che sembra pronunciata da un profeta: “fidatevi di chi vive vicino a voi”.
Dopo sette mesi dall’esperimento di Federico le Social Street sono circa 230 ed il numero è in continuo aumento. “Le social street – dice Federico – non hanno delle regole prestabilite, noi ci siamo limitati a raccontare agli altri quello che abbiamo fatto noi, a rendere pubblico, cioè un modello che nel nostro caso ha funzionato. Ma ognuno può organizzarsi come crede, anche perché ogni strada ha i suoi problemi, le sue caratteristiche e le sue opportunità”.
Via Fondazza ha comunque continuato a fare da collettore delle buone pratiche.
In via Maiocchi a Milano hanno organizzato uno ‘swap party’ per far diventare social il cambio dell’armadio: ci si ritrova una domenica pomeriggio e chi ha un vestito che non usa più può portarlo e scambiarlo con un altro vestito.
In via Pitteri a Ferrara hanno costruito una piccola biblioteca. Hanno costruito una piccola cassetta con dentro una ventina di libri. Chi vuole prende un libro, lo legge e lo riporta nella cassettina. O lo tiene con sé per sempre, ma, in questo caso, lo sostituisce con un altro libro.
In via Saragozza a Bologna e nel centro storico di Tricase (Lecce) la social street ha organizzato una giornata di ‘pulizie di primavera’: un modo per prendersi cura dello spazio pubblico, ma anche per conoscersi e fare nuove amicizie lavorando insieme a qualcosa di concreto.
Nel Rione Marina di Finale Ligure (Savona) Lara chiede una mano per fare un trasloco. C’è chi arriva con un furgoncino chi porta focacce e bottiglie. Alla fine si ritrovano decine di persone, tutti sconosciuti, che in quattro e quattr’otto finiscono il trasloco e poi improvvisano una festa.
Da Bologna il fenomeno si è esteso: ne stanno nascendo soprattutto nelle grandi città, a Milano, a Roma, a Torino, ma anche in piccoli centri dove, negli ultimi anni, i contatti sociali tradizionalmente più forti si sono allentati.
Il modello Fondazza ha anche varcato i confini: ne è nata una in Slovenia e nelle ultime settimane il fenomeno ha preso piede in Portogallo dove ne sono nate una decina: come in rua de Pracas e avenida Reis a Lisbona e in tua de Santa Catarina a Porto. Una bandierina è stata piantata perfino in Nuova Zelanda e mail sono arrivate anche da Brasile e Cile. “Di questo passo conquisteremo il mondo”, scherza Federico. Scherza fino ad un certo punto.
Cambiare il mondo, una via per volta

L’obiettivo di cambiare il mondo partendo dalla propria strada adesso continua cercando di mettere in rete le social street, per scambiarsi idee su iniziative e attività, ma anche per coordinarsi per provare a diventare un interlocutore delle amministrazioni. Il Comune di Bologna ha già aperto un canale con le social street ed ha varato un innovativo regolamento sulla cittadinanza attiva. Chi vuole, autorganizzandosi, può fare richiesta per gestire un piccolo spazio pubblico. Non è ovviamente rivolto solo alle social street, ma tanti gruppi di strada hanno già cominciato a pensare seriamente a come sfruttare questa possibilità.
“A Bologna – dice Federico Bastiani – adesso stiamo facendo un lavoro di coordinamento: abbiamo fatto un’iniziativa per presentarci alla città e c’è un coordinamento per fare in modo che le buone pratiche di ogni strada possano essere replicate in modo semplice nelle altre strade. Fare gruppo permette anche di relazionarsi in modo più semplice con il Comune”.
Nel frattempo in via Fondazza non è arrivato solamente il Comune di Bologna, ma anche ricercatori e studenti delle Università che vogliono studiare questo fenomeno.
Difficile prevedere dove si andrà a finire. Per ora è più che sufficiente così. E’ sufficiente l’idea di aver reso il mondo, qualche strada del mondo, un posto un po’ migliore e un po’ più accogliente. Una via per volta.
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