18
Dic
2013
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Logoboh…!

C’era una certa attesa e una certa curiosità in Sala Borsa a Bologna per la presentazione del nuovo logo della città.

E’ un’idea carina: i grafici triestini che hanno vinto hanno immaginato un alfabeto grafico che permette a chiunque di scrivere cosa sia Bologna. C’è anche un sito, in versione beta, che permette di personalizzare il logo a piacimento. E’ insomma l’idea di una città inclusiva, accogliente, che contiene un sacco di cose. Giustissimo e molto bello. Ma il risultato grafico, in estrema sintesi, è questo

Ora, siccome un logo serve per fare del marketing e non della filosofia, al di là delle buone intenzioni il risultato è a dir poco deboluccio. E’ possibile immaginare questo logo sulle magliette, sulle tazze o sulle spille? Ce lo vedete come immagine per promuovere un festival culturale o una campagna di promozione turistica all’estero? Io no.
Una delle obiezioni che ho sentito più spesso è quella identitaria: nessun richiamo ai portici, alle torri, ai tortellini e lasciamo perdere il resto.
Ecco chi crede che Bologna sia nota in Europa per le torri non sa di cosa parla. Se ci sono dei turisti o delle persone che (grazie soprattutto alla benemerita Ryanair) prendono sempre più in esame la possibilità di trascorrere qualche giorno a Bologna non è per le torri. Le torri ci sono anche altrove. Ma è per l’immagine che questa città, a torto o a ragione, per colpa o merito, si porta dietro fuori dall’Italia. Quella di una città giovane, divertente, colta ma non supponente, piena di musica, con tanti concerti, con tanti appuntamenti culturali. Tutto quello che qualcuno chiama degrado, insomma. E, soprattutto, dove si mangia bene e ci sono un sacco di buone ragioni enogastronomiche per fermarsi qualche giorno.
Il logo, secondo me, non avrebbe dovuto parlare di torri, di portici né tantomeno di quegli orrendi cliché anni ottanta che vendono i negozi di souvenir intorno a piazza Maggiore. Avrebbe dovuto trasmettere l’idea di una città giovane, vivace, allegra, dove ci si godono i piaceri della vita. 
E avrebbe dovuto farlo con un’immagine netta e chiara di quelle (scusate se insisto su questo tema) che stanno bene sulle magliette.
L’idea di rinnovarsi, di aprirsi, di lasciarsi dietro una polverosa immagine che non corrisponde più a quello che è la città nel 2013 è lodevole, efficace, ottima. Ma forse bisognava farlo con un’idea grafica che si capisse alla prima occhiata. Non solo dopo aver letto la spiegazione.

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