28
Dic
2013
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Stamina, Caterina e la matematica

In questi ultimi giorni del 2013 si discute molto di scienza. Può sembrare un bene, visto che in Italia di scienza non di discute mai, in realtà, per come lo si fa, sarebbe molto meglio che non lo si facesse per niente.

Si parla del caso Stamina: la procura di Torino sta accusando i promotori del metodo lanciato da Davide Vannoni non solo di non essere utile, ma di essere sostanzialmente una truffa. Negli ultimi mesi l’opinione pubblica si è molto accalorata sulla vicenda, mossa sostanzialmente da una ovvia e comprensibile solidarietà nei confronti di famiglie che le provano tutte per assicurare un futuro ai loro bambini malati.

E si è parlato molto anche della vicenda di Caterina, la ragazza padovana che si è beccata una sequela di insulti per aver detto che senza la sperimentazione animale sarebbe morta da tempo.

Più dei casi specifici la cosa deprimente è la qualità della discussione (ne ha parlato, molto bene, Christian Raimo, qui) che ci dice parecchio sulla qualità della cultura scientifica italiana.

“Io di matematica non c’ho mai capito nulla” è la formula autoassolutoria che molti di noi ripetono a se stessi, ma che sta alla base di questo dibattito surreale. Come se si discutesse di gusti personali o di innocue inclinazioni umane, anche quando si parla di scienza. Per di più della scienza che ha a che fare con la salute delle persone. Tutto diventa legittimo, tutto diventa declinabile alla difesa oltranzista delle proprie convinzioni. Quello che dice la comunità scientifica internazionale è derubricato nel migliore dei casi a trascurabili fissazioni, nel peggiore alla macchinazione delle lobby del farmaco.

Ora, che attorno a queste questioni si muovano interessi importanti e spesso poco trasparenti è fuor di dubbio. Ma questo sospetto dovrebbe invitarci a ragionare, a porci delle domande, a diffidare soprattutto di quelli che propongono soluzioni miracolistiche. Quelli che offendono Caterina, quelli che si affidano ciecamente al metodo Stamina mi hanno fatto pensare a nuove forme di superstizione. Sono i diretti discendenti di quelli che davano la caccia agli untori, che curavano pesanti patologie con i riti magici, che costringevano Galileo all’abiura. Il metodo scientifico, che pareva unanimemente e indiscutibilmente accettato, lo abbiamo masticato, digerito ed espulso. Proprio da lì.

Io, e lo dico anche con un certo orgoglio, ho fatto il classico, sono laureato in lettere e sono profondamente convinto della superiorità della cultura umanistica. (Chi non lo conoscesse si legga questo mitico discorso di David Foster Wallace, è un po’ lungo ma vale la pena arrivare fino in fondo). Non è una forma di presunzione né, tantomeno, di svilimento della scienza, della matematica, degli specialisti. Anzi, ne è una nobilitazione.

La cultura umanistica, io credo, è superiore perché sta al di sopra, perché si sforza di guardare il mondo con spirito critico ed una visione complessiva. E per farlo non si affida alle superstizioni, non cerca di sostituire l’oggettività dei dati con le suggestioni, si serve con intelligenza degli strumenti di cui dispone. Primo fra tutti, la matematica.

Invece spesso si fraintende questo concetto, pensando che la superiorità della cultura umanistica sia la superiorità della chiacchiera, delle opinioni e delle convinzioni personali e indimostrabili. Che ha come effetto da una parte la delega cieca agli specialisti di alcuni argomenti della nostra esistenza, dall’altro la demonizzazione degli stessi specialisti quando ci dimostrano cose a cui non vogliamo credere.

D’altronde siamo il paese che una volta guardava Quark, adesso guarda Voyager.

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